Il termine selvatico, da qualche anno ormai, ha perso la sua accezione negativa di un qualcosa ‘fuori dalla civiltà’, per riprendersi la connotazione molto più calzante di ‘non convenzionale’: in cucina sulle passerelle, nei giardini, dove si utilizza con piacere il temine WILD, con subitaneo effetto WOW.
Ma quando, storicamente, è stato definito questo termine? Quando per la prima volta qualcosa è sfuggito alle regole prestabilite per essere battezzato definitivamente e lapidariamente come ‘selvatico’?
Sono passati circa 11.500 anni da quando da cacciatori/raccoglitori siamo diventati agricoltori, e da quel momento in poi, dalla nascita dell’agricoltura appunto, il mondo naturale è stato diviso in due campi concettuali distinti: quello degli organismi controllati, gestiti e fatti riprodurre dall’uomo e quello dei selvatici, dei non selezionati per essere coltivati, dei reietti.
Sappiamo fin troppo bene, specialmente in questo periodo, che la vita naturale si ribella ai nostri vincoli culturali e a tutti i cambiamenti che tentiamo di imporle. Spesso, il selvatico si intrufola nella nostra sfera civilizzata e l’addomesticato sfugge e se ne perde il controllo.
Le mie adorate erbacce impersonificano molto bene questa ribellione e sono l’esempio perfetto di cosa voglia dire essere fuori dagli schemi, Crescono nelle situazioni più ostili, anche in assenza quasi totale di acqua e di sostanze nutritive. Sono dappertutto: si fanno spazio tra le aperture dei marciapiedi, crescono dentro ai muri, sui tetti, sulle macerie, nelle discariche.
Si moltiplicano rapidamente e spargono i loro semi usando qualsiasi mezzo a loro disposizione: il vento, gli animali, l’uomo, arrivando ovunque sia possibile germinare. Producono migliaia di semi che hanno sviluppato sistemi per assicurarsi il trasporto in moltissimi habitat: possono avere ganci, ricci, spine, coste, ali, filamenti che li aiutano ad attaccarsi agli animali; possono paracadutarsi e catapultarsi a molti metri di distanza; possono rimanere dormienti per decine di anni in attesa del momento migliore per germogliare. Sono macchine perfette che si sono evolute per resistere a qualsiasi cosa.
Pensate a queste qualità paragonate alle piante che coltiviamo, selezionate da secoli per dare il meglio dal punto di vista del rendimento ma che hanno perso parte della loro vitalità.
Le piante spontanee hanno una capacità di adattamento che manca completamente alle piante coltivate, questo perché per sopravvivere devono saper competere e reagire in maniera adeguata ai molti stimoli esterni (agenti atmosferici, calpestio, sradicamento, terreno smosso, frane, valanghe, terremoti, cavallette)
Le piante selvatiche sono una vera e propria potenza della natura.
Tutta questa vitalità è stata la causa di una lotta ostile ancora in corso tra loro e l’uomo, e che non disdegna l’utilizzo di armi di distruzione di massa. Nonostante la pioggia di diserbanti che ogni anno si abbatte sulle piante considerate invasive, esse sono ancora responsabili di un calo della produttività agricola stimata tra il 10 e il 20%.
Non crediate nemmeno per un momento che questo abbia causato la loro completa scomparsa. Certo, le ha messe a dura prova, la loro presenza è diminuita di molto, ma questo non ha fatto altro che tirare fuori il loro meglio, scacciate dal loro habitat primario e costrette a trovarne un altro. Non mi dilungherò su tutte le analogie con l’umanità che in vari momenti storici si è trovata nelle stesse condizioni (indesiderata, osteggiata o semplicemente pioniera), è già stato scritto molto. In ogni caso, le piante selvatiche come gli esseri umani, hanno trovato una soluzione. Per loro natura opportuniste, hanno saputo approfittare anche questa volta di nostre abitudini molto frequenti, specialmente nelle aree urbane: la tendenza a smuovere il terreno e ad abbandonare posti che non ci servono più.
E così, ecco dove ritrovare la selvaticità che spesso pensiamo perduta, o troppo lontana. Terreni in aree dismesse, lungo i binari della ferrovia, ai lati di superstrade e tangenziali, nelle rotatorie e nelle aiuole spartitraffico: questi nuovi luoghi biologici fanno la felicità delle vagabonde, le accolgono, gli donano la libertà di espressione perduta. Qui si sviluppano piccoli ecosistemi urbani variopinti, cosmopoliti e biologicamente ricchi. Proprio in questo periodo potete assistere alle fioriture spettacolari dei papaveri, sfrattati dai campi ma vivi e vegeti tra le crepe del cemento. Oppure di quella del trifoglio rosso, re delle rotatorie insieme al verbasco, mescolato a margherite e tarassaco.
Il valore inestimabile delle erbacce in questo particolare momento storico (permettetemi di tralasciare per un attimo tutta l’importanza enorme che hanno rivestito in passato, come cibo e come medicina) sta nella loro forza rigeneratrice. La capacità stessa di crescere negli ambienti più ostili insinua l’idea di natura selvaggia in posti in cui altrimenti non ve ne sarebbe traccia. Questa invasione può distruggere da un lato, ma ricreare dall’altro, parlandoci della potenza rigeneratrice che esplode, e che deve esplodere, dopo un evento come quello che ci ha colpiti in questi mesi.
Spero che questi pensieri, nati dalle mie letture e dalla mia esperienza pratica, possano servire per approcciare in maniera diversa il concetto di selvatico, partendo da quello che abbiamo di più vicino; un selvatico quotidiano alla portata di tutti trasmesso da chi ha una storia da raccontare ed è forte e tenace come le erbacce.
Bibliografia:
Weeds. How vagabond plants gatecrashed civilisation and changed the way we think about nature di Richard Mabey – Profile Books, 2011
Éloge des vagabondes. Herbs, arbres et fleurs à la conquête du monde di Gilles Clément – Nil éditions, 2002
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– Il biglietto on-line comprende sia l’entrata all’Orto Botanico che all’evento «Bambini Botanici»
– Diversamente abili (con tesserino sanitario) e accompagnatore entrano gratuitamente.
– Ti rimborseremo il biglietto solo se, per cause di forza maggiore, saremo costretti ad annullare il nostro appuntamento.
– Siamo all’Orto Botanico e quindi all’aperto. Se dovesse piovere noi saremo comunque lì ad aspettarti …non lasciarti intimorire.
– L’Orto Botanico è un meraviglioso museo a cielo aperto. Al suo interno è contenuta una preziosa collezione di opere d’arte viventi antiche e moderne e per questo purtroppo i cani non possono entrare.
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Se dicessi Wow suonerebbe troppo da passerella d’alta moda e non è quello che voglio, ma wow! La realtà descritta in parole semplici e oneste, come semplice e onesto dovrebbe essere il nostro sguardo sul mondo. Grazie!! Bellissimo intervento!