Che vuol dire “plant blindness” ?
Il termine fu coniato nel 1988 dalla coppia di biologi stuatunitensi Elisabeth Schussler e James Wandersee per indicare l’incapacità di vedere o notare le piante nel proprio ambiente.
Questo fenomeno dimostra come la separazione dalla natura soprattutto per chi vive in città crei una profonda disconnessione tra l’essere umano e l’ambiente che lo circonda, rendendolo cieco al mondo naturale.
Le piante sono organismi straordinari.
Costituiscono circa l’80% di tutta la biomassa sulla Terra, svolgono ruoli importanti in quasi tutti gli ecosistemi e supportano gli esseri umani e altri animali fornendo riparo, ossigeno e cibo.
La ricerca sulle piante è fondamentale per molte scoperte scientifiche: dalle colture alimentari più resistenti ai medicinali più efficaci. Più di 28.000 specie di piante vengono utilizzate in medicina, inclusi farmaci antitumorali di origine vegetale e anticoagulanti.
Eppure come afferma Francesco Ferrini – professore di Arboricoltura all’Università di Firenze – la perdita di biodiversità ci costa ogni anno dai 2.000 ai 20 mila miliardi di dollari, più di quanto del prezzo pagato per il covid.
È una perdita che noi non percepiamo, come se non ci colpisse direttamente.
Come se non riuscissimo a capire che conservare le piante vuol dire conservare non solo la salute ambientale ma anche quella umana.
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Come hanno fatto allora gli esseri umani a diventare ciechi alle piante?
Le motivazioni sono fondamentalmente due:
- cognitive culturali
- biocomportamentali
Ragioni cognitive culturali
Gli animali, anche se non più oggettivamente importanti delle piante, sono più facili da riconoscere.
E questo è il modo in cui classifichiamo il mondo: riconosciamo (visivamente) solo ciò che già sappiamo.
Secondo gli studiosi Schussler e Wandersee Il nostro sistema occhio-cervello filtra ogni giorno circa 10 milioni di bit di dati al secondo da ciò che vediamo e tende a scartare la maggior parte delle informazioni sulle piante.
Mentre raggruppa intuitivamente insieme che le piante
- si muovono a malapena
- crescono vicine le une alle altre
- sono spesso di colore simile
- non sono minacciose.
Non solo.
Il nostro cervello filtra anche i segnali ottici in base ai nostri obiettivi, alle esperienze e alla potenziale rilevanza biologica (opportunità o minacce di accoppiamento) di ciò che osserviamo.
Questo significa che in una determinata scena elaboriamo visivamente molto meno rispetto a quanto potremmo aspettarci.
In uno studio sull’attenzione umana, è stato notato che siamo evolutivamente programmati per concentrarci e rispondere agli animali perché questi, predatori o prede, erano fondamentali per la nostra sopravvivenza.
Sebbene in alcune culture umane si siano sviluppate relazioni intime con le piante, la maggior parte delle persone può avere la tendenza a rilevare e reagire rapidamente agli animali, e di conseguenza filtrare lo “sfondo” verde del nostro ambiente.
Ragioni biocomportamentali
Poi c’è la nostra preferenza per la somiglianza biocomportamentale.
Come primati, tendiamo a notare le creature più simili a noi.
Siamo pronti a batterci per la tutela di specie con hanno caratteristiche simili alle nostre rispetto a quelle che troppo differenti da noi.
Il motivo è semplice: stimolano incoraggiano la nostra empatia.
Secondo la psicologa ambientale Kathryn Williams dell’Università di Melbourne, molti di noi quando affermano di voler proteggere gli orsi polari, non sono motivati razionalmente.
Piuttosto sono mossi da sentimenti.
Gli orsi polari toccano le corde dei nostri cuori.
Questo perché nelle società umane, c’è l’idea che gli animali siano fondamentalmente più interessanti e visibili delle piante.
Nominiamo gli animali e assegniamo loro caratteristiche umane.
Usiamo spesso gli animali come mascotte delle squadre sportive.
E siamo in sintonia con le variazioni individuali tra gli animali: la personalità di un cane, per esempio, o il modello di colore unico di una farfalla.
E per le piante? La sfida è sempre più ardua…
Costruire quelle connessioni emotive con gli ecosistemi, le specie e la pianta nel suo insieme, è fondamentale per la conservazione del mondo vegetale.
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Cosa differenzia chi vede le piante da chi non le vede?
Secondo uno studio:
- in alcuni l’interesse per le piante sembrerebbe essersi sviluppato grazie ad esperienze vissute della prima infanzia: crescere in una fattoria, fare passeggiate nella natura o imparare da insegnanti e docenti ispiratori.
- In altri l’attrazione per le discipline scientifiche quali la genetica, ha dimostrato l’importante contributo scientifico delle piante per domande evolutive nove e interessanti.
- Diversi scienziati hanno poi dichiarato di aver scelto lo studio del mondo vegetale per tutti gli importanti benefici che le piante forniscono all’umanità.
Pochi organismi hanno un impatto così diretto sulla sicurezza alimentare ed ecologica, sulla sostenibilità climatica e ambientale, sui cicli dell’acqua e dei nutrienti, sulla medicina e sulla bellezza naturale in generale.
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Come possiamo superare la plant blindness?
Riuscire ad instillare in tenera età l’ amore per le piante – attraverso l’ educazione e l’interazione con il mondo naturale – è una delle chiavi per contrastare la plant blindness in età adulta.
Un’altra è aumentare la frequenza e la varietà dei modi in cui vediamo le piante.
Questo dovrebbe iniziare presto – come dice il professore di biologia all’Università del TennesseeSchussler – “prima che gli studenti inizino a dire di essere annoiati dalle piante”.
Le interazioni quotidiane con le piante sono la strategia migliore, afferma Schussler.
Diversi sono stati negli anni gli esperimenti condottii nelle università su giovani studenti.
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Esperimenti sugli studenti
in questi ultimi anni diversi studiosi hanno lavorato con docenti e studenti per cercare il modo di prevenire la plant blindness e di incoraggiarli ad avvicinarsi a carriere scientifiche.
Hanno così proposto a diversi insegnanti di biologia di
- presentare ai loro studenti un numero uguale di esempi di piante e animali per aumentare la familiarità e l’interesse dei ragazzi con il mondo vegetale
- utilizzare le minacce alla sicurezza alimentare e alla biodiversità per sottolineare l’importanza del mondo vegetale per la nostra sopravvivenza, sensibilizzando gli studenti sui servizi vitali forniti dalle piante
- invitare i ragazzi a coltivare una pianta dal seme e a monitorarne lo sviluppo, mettendo in relazione la pet plants con i concetti affrontati durante le lezioni.
Tutti questi esperimenti hanno dimostrato negli studenti un maggiore apprezzamento e attenzione per le piante e la voglia di coltivare più piante in futuro.
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La plant blindness colpisce tutti allo stesso modo?
La professoressa Dawn Sanders dell’Università svedese di Göteborg ha scoperto che la plant blindenss non colpisce le persone allo stesso modo.
Dalle sue ricerche è emerso che:
- Gli studenti svedesi (rispetto ai coetanei statunitensi) si connettono alle piante attraverso la memoria, l’emozione, la bellezza, o particolari situazioni come la mezza estate o i primi giorni di primavera.
- In India il legame uomo-pianta riguarda soprattutto la religione la medicina ed è vissuto in modo viscerale perchè le piante sono intrecciate alla cita culturale Indiana.
- Le immagini e le storie hanno un grande potere nell’indurre gli studenti ad entrare in contatto con le piante.
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Questo vuol dire che anche se i nostri cervelli umani sono predisposti alla plant blndness, possiamo superarla con maggiore consapevolezza.
Combattere la nostra plant blindness significa combattere la perdita di biodiversità vegetale che silenziosamente minaccia la stabilità di tutti gli ecosistemi sulla Terra.